La conversazione è una cosa tanto superflua eppure tanto necessaria, in cui gli uni non dicono sempre ciò che sanno, e gli altri non sanno sempre ciò che dicono.
Stanislas de Boufflers, Pensées, saillies et bons mots, 1816 (postumo)
Le mie gaffe, ve l'assicuro, spiccano per originalità e intensità.
Una fra tutte la conversazione tra me e una lontana parente che vive all'estero da sempre e ogni tanto chiama a casa dei miei per sapere come stiamo.
Com'è noto a chi mi conosce, provo sempre un certo disagio nel conversare al telefono, sensazione che si accentua quando non ho grandi argomenti da condividere con l'interlocutore.
Così, un pomeriggio in cui, casualmente, mi trovavo in visita a casa dei miei (abitiamo in città diverse), squilla il telefono. Nella stanza accanto sento mia madre che si impegna a conversare in un italiano essenziale in modo da non mettere in difficoltà la parente che ormai parla quasi esclusivamente inglese.
Improvvisamente, con una certa ansia seguita da attacco di panico, sento che mia madre ha appena pronunciato il mio nome e, nell'affidarmi la cornetta, mi lancia un'eloquente occhiata: cerca di prolungare la conversazione oltre i tuoi soliti scortesi 60 secondi...poi esce dalla stanza abbandonandomi al mio destino.
E' fatta.
Mi tocca parlare a telefono con questa "zia" sulle cui vicende nessuno mi ha aggiornata.
E' fatta.
Mi tocca parlare a telefono con questa "zia" sulle cui vicende nessuno mi ha aggiornata.
Così io e la parente faticosamente ci alterniamo in errori grammaticali/fonetici in inglese e italiano, quando finalmente mi illumino e capisco che le è arrivato l'ennesimo nipotino, questa volta in casa della seconda delle sue tre figlie.
Mi complimento per l'evento e mi rilasso: conosco le formule da mettere in campo per l'occasione specifica.
Mi complimento per l'evento e mi rilasso: conosco le formule da mettere in campo per l'occasione specifica.
La semplicità con cui mi si stava prospettando la temibile impresa mi rende baldanzosa e, ormai in preda all'euforia, mi spingo a chiederle perfino a chi somigli il nipotino.
Lei improvvisamente tace, io riformulo la domanda in inglese adducendo il disorientamento al suo italiano ormai sbiadito. Emerge dal silenzio, timida, la risposta non lo sappiamo e io incalzo dicendo che i bambini cambiano continuamente fisionomia: un po' sembrano somigliare al padre e dopo qualche mese sono uguali alla madre e bla, bla, bla.
Finalmente la mia lontana parente, un po' mortificata per me, approfittando di una pausa della logorrea che ormai mi possedeva e, cercando di attutire il colpo, mi spiega che difficilmente potranno stabilire a chi somigli il bambino poiché il nipotino è stato adottato!
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