Non esiste separazione definitiva fino a quando c'è il ricordo.
Isabel Allende, Paula, 1995
Philip Giordano |
Fin da piccola ho amato la festa dei morti.
Il cimitero sulla collina nel paese di mamma, con i suoi vialetti curati ed eleganti, accoglieva paziente l'incedere disordinato di tre bambine sorridenti, talmente innamorate della vita da amarne perfino la sua fine, con quello slancio ingenuo che si perde con l'età...
Come ci ha insegnato mamma non trascuravamo mai di lasciare un garofano o una margherita sulle sepolture più antiche o dimenticate, perché nessuno in quei giorni rimanesse escluso dalla festa, disadorno di fiori e preghiere.
Poi tutti al cimitero del paese dove abitavamo, splendido giardino dove il tempo pare sospeso.
L'angelo della cappella di famiglia ci salutava con il sorriso di chi guarda lontano mentre noi ci incantavamo a sentir parlare del nonno che non avevamo conosciuto ma che nella mia fantasia diventava ogni anno di più un modello da seguire, affascinata dalla sua vita breve ma avventurosa.
E poi pupi di zucchero accompagnati da vassoi di dolciumi e frutta di Martorana si materializzavano negli angoli più improbabili delle case di bisnonni, nonni e zie che ci raccontavano di aver sentito un rumore nella notte e di aver trovato quel regalo lasciato lì per noi da trisavoli e prozie a cui volevamo bene grazie ai racconti che di loro si facevano in casa.
Anche adesso che ho troppi cimiteri da visitare e fatico a tornare su in collina, la festa dei morti rimane una tradizione irrinunciabile, un inno alla vita. Sono giorni in cui l'affetto, il ricordo trionfano sull'inevitabile fine di un'esistenza e i bambini, ma non sono i soli, si affidano felici alla promessa che anche chi va via continui a vegliare su di loro, affondano il viso sorridente tra le accoglienti braccia della speranza: la morte è solo una separazione momentanea...
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