Non ci si inganna che per ottimismo.
Paul Hervieu
L'altro giorno decido di andare a fare la spesa in un supermercato un po' più distante da casa, dove saltuariamente mi avventuro per ottemperare ai miei doveri di casalinga.
Mentre mi aggiro, errabonda e distratta, tra gli scaffali gonfi di roba, in attesa dell'ispirazione circa la composizione di un pranzo e di una cena, la mia attenzione è rapita da un progressivo affluire di gente in un orario inusuale.
Io li studio con attenzione gli orari, in modo da non rimanere prigioniera di interminabili file alle casse o, eventualità oltremodo fastidiosa, di trovarmi a dover sopportare gli sguardi indagatori delle Massaie che alzano il sopracciglio nel valutare il contenuto del mio carrello.
Spinta dalla curiosità, osservo con maggiore attenzione la folla che si riversa tra banconi e scaffali e capisco di essere di fronte ad un fenomeno eccezionale: il supermercato è assaltato da turisti GIAPPONESI!
M'illumino, allora esiste un Dio anche per noi principianti casalinghe non convinte, posso finalmente mettere alla prova i miei progressi nello studio della lingua giapponese.
Occasione irripetibile: non posso farmela scappare.
Così, buttato giù nel carrello il necessario per la pastina con l'olio a pranzo e la cotoletta con contorno di pomodori a cena, comincio a tampinare gli ignari turisti con la speranza di riuscire ad intavolare una discussione elementare con uno di loro.
Inaspettatamente un impiegato insofferente mi chiede se riesco a capire cosa stia cercando tra i prodotti la Signora giapponese ma lei, purtroppo, mi rivolge la domanda in inglese e io, delusa, le indico dove può trovare il sale.
A parte che non ho ancora imparato il termine “sale” e se anche lo avessi conosciuto avrei evitato, in presenza dell'impiegato, di rispondere in giapponese ad una domanda in inglese. Questo tizio, l'impiegato, annoiato e un tantino spocchioso, quasi sicuramente avrebbe scambiato la mia voglia di verificare l'apprendimento di una lingua straniera con una volgare mania di protagonismo da prima della classe, e la cosa mi avrebbe infastidito molto.
Fiduciosa, ricomincio a descrivere improbabili traiettorie dietro ai turisti, noto anche che i pochi avventori indigeni ormai mi soppesano con lo stesso sguardo sospettoso riservato ai Visitatori.
Ad un certo punto lo vedo: trattiene una confezione di cereali in una mano, agita l'altra nella mia direzione, la sua figura pare irradiare luce, gli annunci al microfono arrivano come musica celestiale. Mi avvicino, emozionata e rapita, il Turista mi guarda e distende le labbra in un sorriso ieratico. Trascorrono attimi densi di aspettativa, finalmente parla e mi si rivolge con un fiero “buonasera” (in italiano!).
Ma allora siamo simili, penso, anche lui studia una lingua che non ha finalità utilitaristiche...
Al colmo dell'esaltazione esclamo kombanwa (buonasera)...
La luce che irradiava dalla sua persona improvvisamente si spegne, la musica celestiale subisce una brusca interruzione e le si sostituisce il gracchiare del microfono: il Turista mi guarda smarrito mentre la mia autostima evapora. E che ho combinato? E meno male che volevo pronunciare un'intera frase, dettagliatamente elaborata durante i miei inseguimenti con il carrello per i corridoi, tra gli scaffali. Neanche buonasera riesco a fargli riconoscere!
Il Turista, impietosito, mi si rivolge allora in inglese e riesce a farmi capire, con una certa difficoltà (ovviamente mia, perché ho problemi con tutte le lingue straniere) che lui è nato negli Stati Uniti...
E così si allontana non prima di aver depositato nel suo carrello hamburger e ketchup.
E così si allontana non prima di aver depositato nel suo carrello hamburger e ketchup.
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