venerdì 15 giugno 2018



Rossana Taormina, flight #18 _ 2017 
watercolour and Bic pen on found nautical chart; 71 x 103 cm 

Bisogna strapparsi alla propria casa, al calcolo sicuro sul domani o sul dopodomani, e prendere il volo per sé, per un’esigenza interiore, ma non come un uccello, perché gli uccelli seguono le vecchie vie; volar via come vola solo un uomo che lavora, che conosce il ritmo delle possibilità.

Viktor Šklovskij, L’energia dell’errore, traduzione di Maria Di Salvo, Roma, Editori Riuniti 1984, p. 60

mercoledì 6 giugno 2018




Rossana Taormina, un'estate - 2018
assemblage: acrylic on found photograph,
 anti-mosquito plates used in June, July and August 2013
photo by Franco Noto


Quando i miei pensieri sono ansiosi,
inquieti e cattivi, vado in riva al mare,
e il mare li annega e li manda via
con i suoi grandi suoni larghi,
li purifica con il suo rumore,
e impone un ritmo su tutto ciò
che in me è disorientato e confuso.

Rainer Maria Rilke

martedì 5 giugno 2018





Lo specchio

Sì, mi ricordo quella parete
nella nostra città rasa al suolo.
Si ergeva fin quasi al sesto piano.
Al quarto c’era uno specchio,
uno specchio assurdo
perché intatto, saldamente fissato.

Non rifletteva più nessuna faccia,
nessuna mano a ravviare chiome,
nessuna porta dirimpetto,
nulla cui possa darsi il nome
“luogo”.

Era come durante le vacanze –
vi si specchiava il cielo vivo,
nubi in corsa nell’aria impetuosa,
polvere di macerie lavata dalla pioggia
lucente, e uccelli in volo, le stelle, il sole all’alba.

E così, come ogni oggetto fatto bene,
funzionava in modo inappuntabile,
con professionale assenza di stupore.


Wislawa Szymborska 





Questa è una delle poesie di Wislawa Szymborska che più amo. Wislawa ed io, così lontane nel tempo e nello spazio, condividiamo lo stesso paesaggio.

Se la poetessa descrive un "luogo" offeso dalla guerra, io mi porto negli occhi il ricordo di un piccolo paese in cui, accanto all'avanzare dell'insipida edilizia della ricostruzione post-terremoto, resistevano molte case diroccate. 

A volte i miei nonni, che abitavano nel paesino accanto al mio, mi portavano a vedere quel che rimaneva della loro casa: pochi gradini e un mucchio di macerie. 
Nel tempo si è depositato in me un sentimento di struggimento per quel paesaggio, trasformatosi, poi, in amore profondo per le rovine e la loro poesia.

La bellezza mutila di muri crollati, le porte ai piani alti aperte sul nulla, l'incanto del paesaggio che s'infiltra tra le crepe profonde, le carte da parati stinte e lacere che resistono, altere, alle offese della pioggia e del sole. 
La vegetazione, lenta e inesorabile, che si riappropria dello spazio aggrappandosi ai brandelli di ferro e tufo, mentre gli uccelli tra le macerie e i rami trovano riparo e cantano. 
Ed è cosi che da quei crolli nasce un inno alla vita.

Quello della mia infanzia potrei definirlo come un paesaggio di "transizione", io sono cresciuta tra baraccopoli, case in rovina, chiese da restaurare, strade da sistemare e di ogni dettaglio conservo amorevolmente una traccia nella mia memoria.
Adesso tutto è cambiato, ma ancora oggi sorrido, come già da bambina, al ricordo di un rotolo di carta igienica che, fiero, a lungo è rimasto tenacemente attaccato al muro di quello che doveva essere stato un bagno al secondo piano di una grande casa che non esisteva più.