venerdì 30 marzo 2012

non è vero ma ci credo ...


Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male. 
Eduardo De Filippo

Julian Key

Ultimamente, a voler essere sincera, pur non credendo fino in fondo alla sfortuna, non posso non notare che sto collezionando una quantità di disavventure quotidiane leggermente preoccupante.

L'altro giorno, per strada, ho trovato sui miei passi un meraviglioso gatto nero. 
Ci siamo guardati un istante, occhi negli occhi, poi ho pensato che non sarebbe successo nulla di diverso se ad attraversarmi la strada fosse stato, anziché quel gatto, un altro animale o essere umano o extraterrestre...

Al diavolo la superstizione: continuo decisa per la mia strada e rivolgo un' occhiata affettuosa al povero gatto nero, vittima dell'ignoranza umana.
Improvvisamente il gatto comincia ad indietreggiare, miagolando, con il pelo teso soffia minaccioso nella mia direzione, poi mi fissa, si gira e scappa rumorosamente.

Il gatto nero ha evitato che IO gli attraversassi la strada ...
Devo cominciare a preoccuparmi?

martedì 27 marzo 2012

indirizzo sconosciuto, restituire al mittente

La mia infanzia non ha mai perso la sua magia, non ha mai perso il suo mistero, e non ha mai perso il suo dramma.
 Louise Bourgeois


immagine da internet

Ricordo quando a casa della mia nonna materna, Nonna Bice (diminutivo di Brigida), arrivavano le buste con i profili blu e rossi, le lettere che la sorella le spediva dall'altra parte del mondo.

Le mattine in cui il postino suonava alla porta per consegnarne una, la porgeva a mia nonna con gesto teatrale e un bel sorriso: sapeva che quello era per lei un momento di pura felicità.
Io le sedevo vicino mentre lei, sorridente e agitata, lasciava perdere tutte le sue innumerevoli attività e apriva la busta con movimenti precisi e ordinati, in modo da non sciupare la carta.

Leggeva tutto con gli occhi, velocemente, poi si concedeva un sospiro di sollievo perché la missiva raccontava solo di momenti felici. Finalmente la leggeva anche a me, rivolgendomi di tanto in tanto gli occhi luminosi, attraversati, forse, da immagini liete della sorella lontana in un presente che lei poteva solo immaginare.
Infine mi raccontava episodi della loro infanzia, delle giornate condivise, in quel momento la voce tradiva il peso della lontananza.
Solo allora mia nonna, sempre energica e battagliera, appariva ai miei occhi vulnerabile, fragile come una bambina, mentre io l'abbracciavo ascoltando in silenzio le sue parole. 

Tanto tempo è trascorso da allora, ma non passa giorno che il mio pensiero non vada a lei; a volte immagino che le mie parole possano raggiungerla ancora al suo sconosciuto attuale indirizzo e che lei le legga, aprendo con cura l'incorporea missiva contornata di rosso e blu, per poi sorridere indulgente e divertita.

Mia nonna una lontana sera di novembre andò via, troppo presto e all'improvviso, senza dirmi niente, ma lei era fatta così, odiava gli addii perché si commuoveva sempre...

venerdì 23 marzo 2012

e non posso far a meno di tornare alla città in cui tutto ebbe inizio...

...era il 1983 o forse il 1982 e io scoprivo Le città invisibili. Da allora, periodicamente, le percorro; per le loro strade io mi perdo e mi ritrovo. Tutto ebbe inizio tanti anni fa finché, un pomeriggio non troppo lontano, cercando la mia strada raggiunsi Ersilia e tutto mi apparve improvvisamente chiaro...



A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e-neri a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza. Quando i fili sono tanti che non ci si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via: le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili.
Dalla costa d'un monte, accampati con le masserizie, i profughi di Ersilia guardano l'intrico di fili tesi e pali che s'innalza nella pianura. È quello ancora la città di Ersilia, e loro sono niente. Riedificano Ersilia altrove. Tessono con i fili una figura simile che vorrebbero  più  complicata e insieme  più  regolare dell'altra. 
Poi l' abbandonano e trasportano ancora più lontano sé e le case. 
Così viaggiando nel territorio di Ersilia incontri le rovine delle città abbandonate, senza le mura che non durano, senza le ossa dei morti che il vento fa rotolare: ragnatele di rapporti intricati che cercano una forma.

da Le città invisibili, Italo Calvino

martedì 20 marzo 2012

perché una rondine non fa più primavera?

Primavera. Quella stagione nella quale tutti corriamo all'aperto per respirare finalmente un po' di fresche esalazioni di benzina. 
Carlo Manzoni 


Oggi è ufficialmente primavera.

Un tempo mi accorgevo del suo arrivo dall'intiepidirsi dell'aria, dal viraggio dei colori della natura che avvolge la casa della mia infanzia, dall'intensità più decisa della luce solare e dal prolungarsi del pomeriggio.
La primavera mi appariva, allora, gonfia di segreti e promesse.
Tutti gli anni le rondini tornavano al nido nel cortile di mia zia e lei mi raccontava sempre che quel nido esisteva già quando lei era bambina e io mi stupivo ogni volta a quella rivelazione ...

La primavera in città certo è diversa da quella in collina, qui è difficile accorgersi palesemente del suo inizio: si può dire che la città che attualmente mi ospita viva una perpetua estate la quale assume sfumature più o meno intense a secondo del periodo dell'anno.
Il clima qui è prevalentemente mite e, a parte la pioggia insistente degli ultimi anni, l'inverno non conosce le temperature rigide del mio paese d'origine.
La luce solare, poi, si confonde e disperde tra palazzi e inquinamento visivo; solo in estate la luce manifesta il suo potere e celebra il suo trionfo sulla città.

Forse è vero, "non esistono più le mezze stagioni" o forse non esistono più gli occhi pieni di meraviglia della  bambina che sono stata, fatto sta che oggi nessuna rondine mi ha annunciato l'arrivo della primavera, me ne sono resa conto solo dalla grafica di google ... che tristezza! 

lunedì 19 marzo 2012

con loro discuti, litighi anche, ma hai la certezza che avranno sempre una risposta a tutte le tue domande ...

Auguri papà!
foto da internet

"Papà" dissero i bambini, "le mucche sono come i tram? Fanno le fermate? Dov'è il capolinea delle mucche?"
"Niente a che fare coi tram" spiegò Marcovaldo, "vanno in montagna."
"Si mettono gli sci?" chiese Pietruccio.
"Vanno al pascolo a mangiare l'erba."
"E non gli fanno la multa se sciupano i prati?"
 Italo Calvino, Marcovaldo

mercoledì 14 marzo 2012

ho perso un treno, ma non ricordo quale ...

Non esiste scelta che non comporti una perdita. 
Jeanette Winterson
Immagine da internet

Dove vanno a depositarsi le cose mai state?

In che luogo si conservano i pomeriggi sprecati, i sorrisi negati, le parole mai pensate, i pensieri non espressi? Chi accoglie i ricordi mai nati, i figli mancati, gli sguardi non incrociati, i baci perduti, gli amori ignorati?

In quale archivio si catalogano tutte le volte che avrei potuto (ma non l'ho fatto) girare a destra, cambiare strada, alzare gli occhi, chiudere l'ombrello, fermarmi un attimo, correre più veloce ... ?

In che luogo si accumulano le belle speranze e le gioventù bruciate? 
Da che parte si trova la stazione dei treni perduti? 
Chi smaltisce i rifiuti di vite non vissute, chi si prende cura di lenire le ferite mai ricevute? 

Abbiamo sempre consapevolezza di ciò che abbiamo perso ma non di ciò che non abbiamo mai avuto.
Eppure eravamo talmente vicini ...

venerdì 9 marzo 2012

conversazione (del terzo) tipo con il figlio preadolescente


A volte, la cosa peggiore che può capitare alle domande è la risposta. 
Romain Gary, L'angoscia del re Salomone, 1979 


All'uscita da scuola.

Io: tutto bene oggi?
Lui: mmmh

Io: sei stato interrogato?
Lui: no

Io: hai studiato cose interessanti?
Lui: mmmh

Pausa

Lungo monologo (ovviamente mio!)
Lui: mmmh (risposta al monologo)

Breve pausa

Io: e  com'è fatta questa maestra ICS YPSILON?
Lui: un po' di carbonio, una spruzzata di coloranti artificiali e qualche metro di cotone addosso
Io: mmmh...

Silenzio

martedì 6 marzo 2012

a caccia di farfalle ...

Si possono ripetere le azioni: i pensieri non ritornano mai identici. 
Francesco Burdin, Un milione di giorni, 2001

Kumi Yamashita

Sono sempre circondata dai miei pensieri, fanno parte di me come un'aerea estensione.

I ricordi, le riflessioni, le intuizioni, i dubbi, le paure, i sogni e le speranze germinano nella mia mente e poi prendono il volo liberandosi  in aria come magnifiche farfalle tropicali.

Attraverso le sottili trame che mi ricamano intorno mi sollevano da terra, mi coinvolgono nelle loro evoluzioni.   
Allora io, eccitata come una bambina ingenuamente crudele, tento di catturare i miei pensieri dalle ali cangianti per chiuderli in un barattolo, per possederne definitivamente la vibrante bellezza.

E proprio nel momento in cui sono certa di averli ormai raggiunti mi accorgo che il mio retino è sfondato. 

Li osservo, i miei pensieri, volteggiarmi attorno ora leggiadri ora minacciosi, finché un'improvvisa folata di vento ne disperde la danza e io rimango lì, con il naso in aria e la frustante sensazione di ricordare i colori e l'aspetto degli esemplari più comuni ed essermi lasciata sfuggire l'incanto degli esemplari rari...  

giovedì 1 marzo 2012

domandare è lecito, rispondere (con rispetto) è cortesia.

Cortesia è saggezza, e quindi scortesia è ottusità. 
Farsi dei nemici con un'insolenza non necessaria rappresenta una frenesia, quale potrebbe essere quella di incendiare la propria casa. 
Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, 1851
L'urlo di Munch
L'attesa nella sala d'aspetto degli ospedali mi lacera. 

Si sta tutti lì a condividere lo stesso peso come rassegnati telamoni.
Osservo il volto degli altri e lo spazio diventa labirinto di specchi, il riflesso del mio dolore si confonde con quello del dolore altrui.

Il silenzio è opprimente, ferito di tanto in tanto da un brusio di preoccupazione, da suonerie sguaiate, da lacrime silenziose e incontenibili, da furtivi sospiri di sollievo ... Sullo sfondo gracchia il suono irriverente del display e lancia il dado: avanti un altro.
Si consumano le ore in attesa che tutto finisca, che qualcuno ti comunichi che il filo a cui è appesa la vita di chi ami è stato riannodato anche per questa volta e intanto il tempo si allunga in uno spazio sempre più intricato, da che parte sarà l'uscita?   Rimaniamo in piedi sui cocci aguzzi dell'attesa.

Nel tentativo di attenuare il disorientamento emotivo ecco che vai incontro all'unico dolore insopportabile: la beffarda villania dell'addetta alle informazioni, fastidiosa e superflua come il sottile taglio provocato dalla carta. 
La sobrietà dell'abito è contraddetta dal rosso carminio delle labbra, ho la sgradevole impressione di trovarmi di fronte ad un specchio deformante: l'impiegata, infatti, pare quasi trarre soddisfazione dallo smarrimento altrui, esibisce l'ingenua certezza che davanti ai suoi occhi, anziché persone consumate dal dispiacere, sfilino quotidianamente turbe di gente ottusa e dalle limitate facoltà intellettive! 
Probabilmente, più prosaicamente, mette in scena per se stessa l'illusione di esercitare sugli altri un potere, un'autorità.

Non si aspetta una reazione, non è abituata.
Sicuramente sotto tutto quel belletto, il porpora della collera le ha bruciato i capillari; spiazzata dal mio disprezzo contenuto e dalla logica inespugnabile delle mie osservazioni per un po' non avrebbe maltrattato oltre la sensibilità altrui.   
Il dolore merita rispetto, lo sopporto in silenzio, ma non riesco a tollerare il fastidio di un insulso taglio da carta provocatomi da una burocrate impertinente. 

E dal rossetto decisamente troppo rosso ...